Avevi una strana maniera di prendere la vita.

Non hai mai capito nulla di contabilità. Se sono venuto su così, è stata una pura casualità. Non riconoscevi neanche un ragazzino di 13 anni ubriaco, o fumato.

Scusa se non ti ho parlato prima. Ma il dolore, in questi ultimi cinque anni è stato troppo forte. Il dolore, e la rabbia verso chi di te non ha mai capito un cazzo.

Non eri burbero. Odiavi la gente stupida, i parenti stupidi. Un pochino come me.

Amavi divertirti. E quel giorno, sul letto della terapia intensiva, me lo dicesti. “Roberto, alla fine la vita me la sono goduta. Ho avuto le macchine che ho voluto, ho girato con tua madre per l’europa”.
E io li ho capito. Ho capito che la vita è la tua, anche con i figli di mezzo. Fa niente che mi hai lasciato qualche debito. Fa niente che via toma 12/b sia proprietà Mercante, anzichè Antonacci.

Tu la tua vita l’hai vissuta. Sei andato a mignotte, sicuramente. Le case chiuse erano la normalità, nel 1950. E una volta mi hanno detto che non fosti trattato bene. E ti fregasti una pianta. Dalla casa di appuntamenti.

Andavi a Riccione. Eri un poveraccio, e andavi ogni anno in cerca di donne, tu e quei quattro sfigati dei tuoi amici (oddio, questi sfigati ora sono professori universitari o al policlinico.  Con il furgone del tuo “capo” della tappezzeria. E col vestito bianco. Vi coglionavano per strada, vi dicevano “gelatai”.

Tu eri più grande, e lavoravi, e pagavi per loro. Quanti soldi avevi tu? 50 lire? gli altri tre, 5 lire? Fa niente, avevate 55 lire in 4. Avevi un cuore enorme.

Andavi in cerca di donne. Ma non ci riuscivi. E ti chiavavi sempre le solite tardone inglesi, sempre le stesse (i tuoi amici mi hanno detto queste cose il giorno del tuo funerale).

Sei andato a Ventimiglia in vespa. Quando non esisteva l’autostrada. E dormivi “a sgroscia” negli alberghi. Te la filavi alle 7 di mattina. E mangiavi nei ristoranti di prima classe. E facevi “la bella”.

Una volta ad una festa di paese hai “cambiato l’acqua alle olive”. Letteralmente. Pisciando in un barile di olive in calce.Hai buttato una pizza che non ti piaceva sul muro di una pizzeria.

Andasti a Pieve di Cadore. Tu, Nico Salatino e altri pazzi baresi. Andasti in un rifugio a 3000 metri. Ti chiesero “cosa vuole mangiare”. E uscisti fuori le casse di frutti di mare crudi.

Io con le mie foto in mutande al petruzzelli, le mie coglionate agli ex nani e il mio vandalismo spicciolo non ti potrò mai raggiungere. E tu lo facevi 50 anni fa. Genio.

Stavi per morire prima di avermi. Un infarto. E da allora mi hai sempre parlato del professor Gallucci, come se fosse nostro signore (poveraccio, morto pure lui).

E poi un ictus, con me da bambino. Ma ti sei ripreso. A cazzo. Come nel tuo stile tipico, ti rompevi i coglioni a fare riabilitazione. Meglio zoppo che riabilitazione. E vabu.

Migliaia di altri problemi di salute, il diabete maledetto. Nel 2003 stavi male male male. Ma poi è morta Rosa. E tu sei risorto. Solo per me.

Dal 2004 mi hai regalato i cinque anni più belli della mia vita. Sei diventato il mio migliore amico, la persona che gioiva davvero. Io lo sapevo, tu preferivi me a Simona. Tutto normale, tranquillo, siamo esseri umani. Ricordo ancora quel “addio rosa” come il momento più orribile della mia vita, mentre lasciavamo il cimitero. Ricordo la domenica mattina, quando mi dicesti “e io adesso come faccio”.

E da allora sei risorto. Mi preparavi da mangiare, vedevi la tv, aspettavi solo me. E io tornavo a casa solo per te. Ho detto di no a lavorare per la Epson o per Yahoo a Milano. Non torneranno mai più queste chances.

Ma fa niente.

Poi il 2009. Hai perso un dito per il diabete. Poi hai avuto un infarto. Poi un giorno sei caduto, il cinque di giugno. Non lo dimenticherò mai. Ti spronavo a camminare, e tu non ce la facevi.

Sei caduto, e ti sei rotto il femore. Non ti sei mai più rialzato.

10 giorni fermi. L’amputazione. E li ti ho detto addio. Enzo non è enzo se non ha la dignità. Enzo non sta su una sedia a rotelle.

E il 20 di luglio hai avuto un ictus. Sono corso da te, io e tua figlia. E Simona e Gaetano (simona, se tu stai leggendo: grazie, nonostante tutto).

Il 21 mia sorella mi chiama. Eri bello lucido, parlammo per telefono. Eri stato morente nella settimana precedente. Incredibile.

Il pomeriggio avevo il primo appuntamento che poi fece nascere Angelonitti.it. E corsi da te.

Eri allegro, la signora Lucia che ti badava mi guardava felice. Povera lucia, l’ho fatta lavorare solo per pochi giorni. Parlammo, parlammo, parlammo. Alle otto me ne andai.

Mi chiedesti “roberto dammi un bacio”. Ora: io solitamente rispondevo “vinginz, l basc l femmn s l donn” (trad. “i baci se li danno le donne”).

Ma quel giorno feci uno strappo alla regola. Ti diedi un bacio. Ricordo ancora il tuo letto in penombra. Facevi ciao ciao con la mano, Sorridente.

12 ore dopo sei morto. Sono arrivato e non c’eri più. Sei entrato in me.

Domani avresti fatto 80 anni, brutto stronzo.

Qui è cambiato tutto, forse ho trovato “lei”. Ho fatto un sacco di puttanate, ho tradito Simona, l’ho lasciata. Simona tua si è laureata, a breve forse lasceremo casa.

Ma domani sera mi mangerò una pizza sul balcone. Solo che non ci sarà nessuno a porgermi la sua metà, di pizza.

Questa l’ho fatta suonare per te al tuo funerale. Quella faccia di merda del prete voleva che Gianni smettesse. Ma ce ne siamo sbattuti.

Auguri papà. Buon compleanno.

https://www.youtube.com/watch?v=Ya–_G0nC5k

2 risposte

  1. Caro Roberto, come va.
    Vorrei condividere con te il ricordo di tuo padre che un giorno di parecchi anni fa venne con te per vedere il mio locale, non so perché. Io conoscevo la tua bravura nel suonare la chitarra e mi ricordo che tenevo molto che tu suonassi con noi ma non sapevo se eri disponibile. Ti aspettavo quel giorno. Venisti tu con tuo padre, io pensavo cazzo questo ora vede il posto mi vede tutto mbriaco e si riporta immediatamente indietro il figlio, invece non fu così, mi ricordo che sorrideva compiaciuto e anzi ti spronava a lasciarti andare 🙂 cosi tornasti al locale a suonare altre volte.

    1. Pompeo, lo ricordo perfettamente. Il locale col buco. Lui non era scemo, ma sapeva che sotto sotto eravamo bravi ragazzi 😀

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